Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 19 ottobre 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Autismo: la prima indagine in vivo sulla densità sinaptica rivela un dato inedito. James McPartland e colleghi hanno indagato mediante 11C-UCB-J PET la densità sinaptica nel cervello di 12 affetti da disturbo dello spettro dell’autismo (ASD) posti a confronto con 20 volontari non affetti fungenti da gruppo di controllo. L’elaborazione dei dati ha considerato sede privilegiata il centro semiovale dell’encefalo ed è stata analizzata in dettaglio tutta la corteccia cerebrale: la densità sinaptica corticale in ogni area è risultata negli affetti da ASD più bassa del 17% del valore normotipico. La riduzione di densità nei singoli era proporzionale all’entità dei sintomi. Questo significativo dato di citologia neuronica potrebbe indicare una base molecolare non ancora nota e da accertare. [Fonte: J. McPartland, Yale; lo studio sarà pubblicato su Molecular Psychiatry, 2024].

 

Luce infrarossa transcranica per la terapia dei traumi cerebrali lievi. Andrew R. Stevens e colleghi hanno sperimentato la fotomodulazione transcranica con luce infrarossa nei danni cerebrali lievi per promuovere la riparazione tessutale, e hanno rilevato: riduzione dell’infiammazione e della morte cellulare con miglioramento delle funzioni cognitive e di equilibrio. La lunghezza d’onda infrarossa di 810nm ha ottenuto i migliori risultati. [Cfr. Stevens A. R. et al., Bioengineering and Translational Medicine AOP doi: 10.1002/btm2.10727, 2024].

 

Dimorfismo sessuale di depressione, ansia e abuso di sostanze spiegato in termini molecolari. La rottura dell’equilibrio omeostatico del glutammato all’interno del circuito a ricompensa, importante nella fisiopatologia di questi disturbi, spiega numerose differenze sintomatologiche e di decorso tra i due sessi. Un’esaustiva rassegna dei maggiori studi analizza in dettaglio le divergenze sessuali nella trasmissione glutammatergica e nella plasticità dei recettori NMDA del glutammato, indicando anche la direzione dei futuri sviluppi della ricerca. [Cfr. Kniffin A. R. & Briand L. A., Front. Behav. Neuroscience AOP doi: 10.3389/fnbeh.20241455478, 2024].

 

Un sorprendente rapporto tra vita breve e perdita di neuroni a dopamina interessante per il Parkinson. Un grande numero di varietà di Drosophila presenta uno stupefacente rapporto tra vita breve e perdita di neuroni dopaminergici, e l’elemento di connessione in questa relazione è il deficit di sintesi del glutatione, come hanno dimostrato Colin Coleman e colleghi. Questa evidenza è rilevante per la malattia di Parkinson umana, sia perché nelle forme cosiddette idiopatiche o sporadiche è presente una riduzione del glutatione, sia perché la perdita di neuroni dopaminergici si accompagna all’invecchiamento che, di per sé, è il principale fattore di rischio della seconda malattia neurodegenerativa umana per frequenza. [Cfr. PNAS USAAOP doi: 10.1073/pnas.2403450121, 2024].

 

I mitocondri della corteccia prefrontale spiegano il declino motorio senile degli uomini.  Daniel A. Adekunbi e colleghi hanno studiato i complessi della catena di trasporto degli elettroni (ETC) nei mitocondri cerebrali di babbuini durante l’invecchiamento fisiologico, rilevando un declino degli ETC nella corteccia prefrontale (PFC). Distinguendo in base al sesso, è risultato che la respirazione mitocondriale durante l’invecchiamento era preservata nelle femmine, mentre nei maschi la perdita di complessi ETC con l’età era marcata. Questo dato è correlato a una riduzione nella velocità spontanea di deambulazione nei maschi. Lo studio suggerisce che nei primati di sesso maschile il declino della bioenergetica della PFC spiega il declino motorio con l’invecchiamento. [Cfr. bioRxiv (Preprint) – AOP doi: 10.1101/2024.09.19.613684, 2024].

 

Primo monitoraggio neurofunzionale del dolore chirurgico. Monitorare lo stato della percezione del dolore durante l’incoscienza indotta da anestesia generale, nel corso degli interventi chirurgici, potrebbe consentire di regolare alla perfezione il dosaggio farmacologico e non rischiare di adottare dosi insufficienti o sovradosaggi, come accade oggi non di rado. Attualmente si può solo dedurre l’entità della risposta neuronica dalla registrazione continua della frequenza cardiaca e dalla pressione arteriosa, ma non vi è modo di rilevare direttamente il flusso di informazioni lungo le vie nocicettive per conoscere l’entità della risposta neurovegetativa e cerebrale al dolore, momento per momento. Le conseguenze post-operatorie possibili più gravi di queste imprecisioni di dosaggio includono disfunzioni cognitive e deficit cronici di regolazione della percezione del dolore.

Sandya Subramanian dell’Harvard-MIT e colleghi, studiando la nocicezione durante 101 interventi chirurgici con 49.878 stimoli dolorosi per 18.582 minuti, sono riusciti a definire, nell’ambito di un approccio multisensoriale statistico rigoroso, fedeli, fisiologicamente coerenti e affidabili indici di nocicezione. Il metodo posto in essere nello studio, oltre ad essere molto più accurato dei metodi attuali di monitoraggio nocicettivo, sembra efficace per un preciso dosaggio farmacologico intraoperatorio. [Cfr. PNAS USAAOP doi: 10.1073/pnas.2319316121, 2024].

 

Le scimmie marmoset si chiamano per nome con un richiamo vocale specifico. Le graziose scimmiette del Nuovo Mondo, che hanno ispirato tanti pupazzetti di pelouche, usano un tipo specifico di richiamo, detto “phee-calls”, per chiamarsi per nome fra loro. Un tale uso denominativo della voce, tipico della nostra specie, è stato documentato solo in altri due animali: delfini ed elefanti. Ma la vocalizzazione di questo piccolo primate presenta caratteri particolari: David Omer senior scientist del Safra Center for Brain Sciences, autore della scoperta con il suo allievo Guy Oren, sostiene che si tratta di un’acquisizione eccezionale per lo studio dell’evoluzione del linguaggio verbale umano. Fra le particolarità, è stato rilevato che membri della stessa famiglia in un gruppo di marmoset impiegano tratti sonori simili per codificare nomi diversi, come nella fonetica di un “dialetto familiare”. [Fonte: Hebrew University of Jerusalem, October 2024].

 

Scoperto nel geco un “sesto senso” che suggerisce nuovi studi sulla percezione. Dawei Han e Catherine E. Carr hanno scoperto che nel geco il sacculo, una struttura normalmente implicata nella percezione di stato connessa con l’equilibrio e il movimento, è in grado di rilevare vibrazioni di bassa frequenza provenienti dal suolo o dall’acqua e veicolarle al cervello attraverso fibre associate alla via acustica: un “sesto senso” che integra le informazioni visive e uditive provenienti dall’ambiente. Han e Carr interpretano questo nuovo senso come esito di un adattamento di una via presente in pesci e anfibi, e si promettono di ricercarla negli altri rettili e in altri animali. [Cfr. Current BiologyAOP doi: 10.1016/j.cub.pnas.2319316121, 2024].

 

Uno studio sui famosi leoni assassini di Tsavo rivela perché mangiavano uomini. Al Field Museum of Natural History di Chicago sono esposti dal 1925 due leoni preservati e resi come da vivi mediante tassidermia; i due grandi felini avevano la fama sinistra di mangiatori di uomini perché dal 1890 avevano aggredito e sbranato operai addetti alla costruzione della ferrovia di Tsavo, in Kenia, e altre persone. Alida de Flamingh e colleghi coordinati da Ripan S. Malhi hanno esaminato il DNA delle prede isolandolo da minuscoli peli rimasti nelle cavità di denti rotti, presenti in entrambi i leoni. Oltre al DNA umano, hanno trovato quello di giraffa, antilope oryx, antilope d’acqua, gnu, zebra e altri animali, per un totale di 20 specie diverse. Proprio i denti rotti sono stati la causa della predilezione delle prede umane: la carne tenera non protetta dalle spesse e dure pelli del corpo degli erbivori attraeva i leoni. Gli autori dello studio hanno anche rilevato una curiosità zoologica dal reperto di DNA di gnu: allora, come oggi, l’areale più vicino in cui è possibile reperire gnu dista 90 km dal luogo in cui vivevano i leoni che, evidentemente, potevano coprire quella distanza. [Cfr. Current Biology, October 11, 2024].

 

È vero che l’unica differenza tra culture animali e culture umane è quantitativa? Questa tesi fu sostenuta per la prima volta da Marvin Harris (v. La Nostra Specie, Rizzoli, Milano 1991), ma oggi sono numerosi gli etologi a condividerla. Gli studi che hanno aperto la strada a queste considerazioni sono stati prevalentemente condotti dal Primate Research Institute della Kyoto University, che hanno descritto nei macachi del Giappone istituzioni e costumi basati sull’istruzione sociale.

Si cominciò con l’interpretare come differenza culturale le diverse abitudini alimentari della stessa specie in territori diversi: i babbuini di Takasaki-yama, quando mangiano il frutto dell’albero di muku, buttano via il nocciolo o lo ingoiano accidentalmente e lo espellono con le feci; invece i babbuini di Ayashi-yama rompono sempre il nocciolo con i denti e ne mangiano la polpa interna. Leggiamo queste interessanti osservazioni etologiche che hanno rappresentato un modello per gli studi attualmente in corso, nel racconto di Harris: “Per cercare di attrarre i babbuini vicino alla riva, dove potevano essere osservati più facilmente, gli studiosi avevano messo sulla spiaggia delle patate dolci. Un giorno una femmina di giovane età cominciò a togliere la sabbia dalle patate immergendole in un piccolo ruscello che attraversava la spiaggia. L’uso di sciacquare le patate si diffuse in tutto il gruppo e rimpiazzò progressivamente la precedente abitudine di sfregarle. Nove anni dopo, l’80-90% dei babbuini sciacquava le sue patate dolci, chi nel ruscello e chi in mare. Quando gli studiosi misero delle spighe di grano sulla spiaggia, i babbuini di Koshima ebbero inizialmente difficoltà per separare il grano dalla sabbia, ma uno di loro trovò ben presto una soluzione che fu subito imitata dagli altri. Il metodo consisteva nell’immergere la spiga nell’acqua: la spiga galleggiava e la sabbia andava a fondo.” (Harris, op. cit., p. 56).

Concettualmente, la trasmissione da una generazione all’altra di questi costumi basati sull’apprendimento imitativo di una soluzione intelligente, costituisce cultura, accanto alla più semplice trasmissione di atteggiamenti comportamentali. Harris considera queste culture “elementari”, mentre definisce “completamente sviluppate” le forme culturali affermatesi nei contesti umani. Tradizionalmente si attribuisce all’espansione della neocorteccia cerebrale umana (secondo Haldane il “salto” più grande che si conosca nell’evoluzione animale) la capacità di simbolizzare creando codici per il linguaggio e il pensiero. Secondo Harris questa abilità è stata un grande moltiplicatore di effetti, ma non rappresenta una differenza “qualitativa”. Washoe è stato il primo scimpanzé a cui è stato insegnato un codice di comunicazione umano: l’ASL (American Sign Language), ossia il linguaggio gestuale dei segni ideato per i sordomuti; uno di quei repertori che Virginia Volterra denominò “semìe sostitutive”.

Per tre generazioni alla Washington University i discendenti di Washoe si sono trasmessi, anche se in modo incompleto, il linguaggio gestuale appreso dall’uomo; anche se in alcune pubblicazioni nel corso degli anni sono state segnalate delle variazioni, non si può parlare di invenzione di nuovi segni e, di fatto, la serie di gesti appresi si è andata progressivamente riducendo: questo vuol dire che il cervello dello scimpanzé non è in grado di supportare nemmeno una versione estremamente semplificata dei codici delle lingue umane. L’uomo è di fatto considerato, dagli etologi che non riconoscono differenze qualitative tra cultura umana e cultura animale, una “scimmia capace di parlare”. Ma, come dimostra l’esempio di Washoe, e anche quello di Sarah che aveva appreso la composizione di semplici parole con lettere magnetiche, la differenza non è nel possesso di un comportamento comunicativo quantitativamente più ricco, ma nella molteplicità di risorse di un encefalo molto più evoluto. Un cervello che è stato in grado, ad esempio, di generare le lingue e la matematica, per citare solo due delle meraviglie della cultura e della logica umana.

Questo nucleo originario è causa di differenze qualitative evidenti e innegabili. Se l’invenzione e la pratica delle tante forme di arte sviluppate in seno alle società umane costituiscono differenze solo quantitative, perché un segno tracciato da una scimmia sul terreno è solo una forma più elementare degli affreschi della Cappella Sistina, allora le potenzialità evolutive eliminano il concetto di “qualità” riportando tutto a “quantità”. In realtà, sia lo sviluppo di organismi biologici, sia l’evoluzione nel suo insieme, ci presentano una serie interminabile di differenze qualitative: un seme di una quercia non è solo più piccolo dell’albero, così un batterio non è un piccolo mammifero.

Ma faremmo torto all’intelligenza di Marvin Harris e dei suoi attuali epigoni, se ritenessimo che la loro convinzione di differenze solo quantitative tra culture umane e animali non tenga conto di cambiamenti qualitativi insiti nei processi biologici evolutivi; loro sono convinti che non esistano differenze qualitative specificamente tra culture delle antropomorfe e culture umane. Riprendiamo le esatte parole di Marvin Harris: “La fondamentale differenza tra culture elementari e quelle completamente sviluppate è quantitativa. Scimmie e babbuini possiedono poche tradizioni, mentre gli uomini ne hanno un numero praticamente infinito” (Harris, op. cit., p. 56).

Harris evidentemente – e a differenza di alcuni studiosi attuali – non attribuiva al determinismo evoluzionistico il potere di ridurre a quantità ogni qualità, ma era convinto che nel segmento di evoluzione tra le antropomorfe e noi, la differenza fosse sostanzialmente quantitativa. Noi non siamo di questo avviso e notiamo che la capacità creativa, innovativa e induttivo-deduttiva del nostro cervello, genera di continuo cambiamenti qualitativi in gran parte fondati sull’astrazione che consente di concepire dimensioni lontane dall’esperienza e, anche se gli aspetti più rilevanti ed eclatanti delle capacità umane derivano da processi di elevazione a spirale dell’intelligenza sociale e dei cicli “esperienza-conoscenza” in ambiti specialistici, all’origine vi è un cervello diverso, e sempre più potenziato dai supporti esterni che esso stesso ha creato. [BM&L-Italia, ottobre 2024].

 

Notule

BM&L-19 ottobre 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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